Essere accolto da questo hospice e dall’Associazione Giorno per Giorno rappresenta per me un grande dono di riconoscimento.
Mi onora ancor di più la presenza di giovani psicologi in formazione, così interessati e sensibili. Voler approfondire una competenza professionale così tanto delicata ed imparare che “Qui si impara che la fine della vita non coincide con la fine del senso. Anzi, è spesso nel limite, nella sofferenza, che il senso emerge con maggiore chiarezza”.
In questo luogo si percorre una via che non mira soltanto a migliorare la qualità delle cure, ma a custodire la dignità.
Un’impresa che coinvolge il malato, la sua famiglia, ma anche tutti coloro che condividono la responsabilità del prendersi cura. Qui si sperimenta che il senso della vita non viene meno davanti alla sofferenza: anzi, spesso è proprio nel confronto con il limite che si rivela nella sua forma più autentica.In questo ambiente, l’incontro, l’ascolto, la relazione, il coraggio non sono parole astratte ma esperienza quotidiana di tutti: paziente, parente, volontario, operatore sanitario, infermiere, medico, psicologo, assistente sociale… ognuno a suo modo, testimone del valore intrinseco dell’essere umano.
Condivido profondamente la prospettiva filosofica ed esistenziale — cara alla logoterapia — secondo cui anche le malattie che minacciano la vita possono diventare un’occasione di crescita interiore e di scoperta di senso per noi tutti.Di fronte all’ esperienza hospice, ci troviamo sempre davanti al solito bivio: quella della disperazione, in cui tutto ciò che dava significato sembra frantumarsi, o quella della responsabilità, in cui siamo chiamati a ridefinire le priorità della nostra esistenza e a scegliere, con libertà e consapevolezza, ciò che ha valore per noi tutti. Come ci insegna la logoterapia, l’uomo non è libero dal dolore, ma è sempre libero nel dolore — libero di assumere un atteggiamento che dia senso alla propria sofferenza.
Nel mio agire professionale credo fermamente che ogniuno di noi debba incarnare una prospettiva centrata sulla dignità, offrendo all’altro non solo sollievo, ma riconoscimento del valore.Prendersi cura significa custodire il senso della persona, anche quando la malattia ne offusca le forze, significa affermare che “Tu conti perché sei Tu, e conti fino alla fine della tua vita”.
La nostra sfida è tradurre questo principio in azione, renderlo percepibile e concreto. Perché il valore non basta affermarlo: va comunicato, trasmesso e fatto sentire.Ascoltare profondamente, raccogliersi accanto alla persona, accogliere ogni sua parola come una testimonianza unica e irripetibile — è uno dei modi più alti per dire: “la tua vita ha ancora senso, e io sono qui a ricordartelo”.
Le cure palliative non cancellano il dolore, ma lo accompagnano; non evitano la caduta, ma preparano un atterraggio più morbido. Morire è inevitabile — ma non è inevitabile morire senza senso, né morire senza dignità.se siamo qui, il compito che ci è affidato dalla vita è custodire il senso fino all’ultimo respiro. È questa, forse, la più autentica forma di cura.